venerdì 8 febbraio 2013

Kurt Cobain - Parte 2a

Kurt Cobain

Monografia - Parte 2a



Aberdeen, 200 chilometri circa a sud di Seattle, è la città in cui cresce Kurt Cobain, sballottato tra i genitori divorziati ed il parentado che lo ospita a volte per lunghi periodi. Finito il liceo, con il chiodo fisso del rock’n’roll come irrinunciabile strada per il proprio futuro e quello del punk come condizione e stile di vita (“punk significa libertà musicale. E’ dire, fare e suonare ciò che ti pare”, KC), inizia a fare e disfare gruppi fino all’incontro con Krist Novoselic, che diventerà suo amico e bassista fino alla fine dell’avventura Nirvana. Il primo vero concerto si tiene con il nome di Skid Row, nel 1987, quando Kurt ha 20 anni; il nome muterà più volte come del resto la figura del batterista, che in quella fase è Aaron Burckhard. Uno dei concerti successivi viene registrato e dalla scaletta si deduce che buona parte delle composizioni del futuro primo disco, “Bleach”, è già nella testa di Cobain. Nel 1988, con il nome di Ted Ed Fred e Dale Crover alla batteria, il gruppo registra il primo provino in studio, al Reciprocal Recording Studios. Jack Endino, il proprietario, ne rimane favorevolmente colpito a fa ascoltare il demo a Johnatan Poneman, uno dei fondatori della Sub Pop. Attorno al mese di giugno Cobain e Novoselic decidono in via definitiva per il nome Nirvana (“per il dizionario Webster significa libertà dal dolore, dalle sofferenze del mondo esterno. E’ quanto c’è di più vicino alla mia definizione di punk rock”, KC), si assestano con la scelta del batterista Chad Channing e finalmente entrano in studio per incidere il primo singolo Love buzz.
La Sub Pop inaugura con questo 45 giri una nuova serie, Singles Club, una forma di abbonamento cha dà il diritto all’acquirente di avere in anteprima tutti singoli dei gruppi chiamati a registrare per la label. Comincia così a crearsi attorno al trio una certa attenzione, destinata a crescere grazie anche al successo delle esibizioni dal vivo. Il loro livello musicale migliora, le canzoni ora valgono abbastanza da poter essere pubblicate su un album.
Quando esce “Bleach”, nel 1989, i Nirvana sono già una piccola promessa nel mondo dell’underground americano. Tra giugno e luglio partono per un tour che tocca circa una ventina di città in tutti gli States, mentre alcune radio cominciano a programmare i loro brani. L’effetto traino funziona e nei concerti si registra progressivamente un aumento del pubblico. A tutti gli effetti, i Nirvana sono ancora e soprattutto una live-band, un gruppo che funziona in primo luogo sul palcoscenico. Cobain, in omaggio all’estetica punk, si preoccupa di sfasciare una chitarra alla fine di ogni esibizione, di solito un modello da poco prezzo appositamente acquistato.

Ad essere chiari, “Bleach” non è un gran disco. E’ quasi un tipico prodotto di genere, un lavoro che testimonia la contemporanea passione verso il metal ed il punk: aggressività adolescenziale, suoni sporchi, monolitismo ritmico, canto urlato. In un momento in cui il cosiddetto crossover sta producendo cose degne di nota come Red Hot Chili Peppers o i grandi Jane’s Addiction di Perry Farrell, spostando l’attenzione verso ritmi più vicini alla musica nera, “Bleach” rappresenta per la scena post punk americana il limite di un clichè, limite oltre il quale non si può andare senza rintanarsi nella nicchia di genere. Quello che salva il disco, costituendo il minuscolo innesco della successiva, enorme deflagrazione, è il piccolo cuore pop, la sensibilità ancora semi-nascosta verso la Canzone.
“Bleach” avrebbe senza dubbio guadagnato dall’avere un altro batterista impegnato nelle registrazioni; il drumming di Chad Channing è monocorde, con quella grancassa che sembra un metronomo e le braccia di piombo a marcare passaggi in modo sempre uguale, tradizionalmente heavy. Ma non è certo colpa sua se l’album appare immaturo, interessante solo quando mostra squarci e slanci fuori dal genere. E se da una parte non va dimenticato che si tratta di un’opera prima, dall’altra è probabile che la Sub Pop (etichetta lungimirante ma in ogni caso legata ad un determinato ambiente) non abbia certamente spinto per uscire dai canoni di un hard punk che nei tardi ’80 è la musica che regna nel mondo “alternativo” americano.
Sin dall’apertura, Blew, s’intuisce quale può essere la formula del disco; la voce di Cobain, in realtà davvero bella, è spesso completamente nuda, apparentemente priva di trattamenti in fase di registrazione o missaggio (scritto sul retro di copertina: “registrato da Jack Endino per 600 dollari”), così che a volte il suo cantato è al limite del grido, rauco e sopra le righe. Le parti di chitarra, tutte di Kurt (viene accreditato un secondo chitarrista, Jason Everman, che però non ha inciso nulla), sono riff pesanti e decisi: gli assoli non brillano per originalità, destinati più che altro a far fibrillare il suono riempiendo lo spazio con timbri saturi e distorti. Nella sola School si ascolta qualche accordo più ricco ed armonioso, fuori dallo standard heavy.
About a girl, però, fa drizzare le orecchie; chi l’ha scritto ha certo di più, nello spirito, della fanciullesca fissazione per il rock’n’roll: questo brano ha energia ma anche cuore, è tutto fuorché banale e reca l’inequivocabile marchio della sincerità. Forse è stata la presenza nel repertorio dei Nirvana di pezzi come About a girl e l’intuizione di un possibile grande talento, tormentato ma brillante, ad appassionare Kim Gordon e Thurston Moore, il 50% dei Sonic Youth. Saranno loro a spingere affinchè il complesso firmi un contratto con una major, tempo dopo.

Intanto i tre sono sempre più impegnati on the road. Un altro tour negli USA li porta fino ad ottobre, quando s’imbarcano insieme ai TAD per un avventuroso giro di concerti in Europa. Arrivati in Inghilterra scoprono di avere già un certo seguito: il nascente fenomeno del grunge, con il concorso di un singolo dei Mudhoney ben accolto nelle classifiche alternative inglesi, Superfuzz Bigmuff, ha fatto loro da apripista. La rivista Melody Maker, proprio mentre “Bleach” sta per essere pubblicato in Gran Bretagna, scrive di loro: “Nessun artificio da rockstar, nessuna prospettiva intellettuale, nessun progetto per la dominazione del mondo. Stiamo parlando di ragazzi che vengono dalle campagne dello stato di Washington, che vogliono fare del rock, che se non stessero facendo questo sarebbero a lavorare come commessi di supermarket, o come taglialegna, o come meccanici”.
La tournèe europea è massacrante; decine di date un po’ dappertutto (Svizzera, Germania, Italia), gli spostamenti effettuati con un piccolo furgone, le condizioni generali degli spettacoli ed i problemi tecnici fanno sì che Cobain cominci ad accorgersi di quanto pesi mantenere il ruolo che poco alla volta si è ritagliato. Lui, che dichiarerà qualche anno dopo “agli inizi volevo solo fare il chitarrista ritmico, nascosto in secondo piano, solo per suonare”, è l’epicentro di ogni esibizione, quello che grida e pesta come un dannato sulle corde, che dà il via al rito distruttivo del finale con le chitarre sbriciolate e feedback e ronzii che continuano ad echeggiare nell’aria anche quando gli strumenti ormai tacciono.
Che sia espressione d’insoddisfazione o di estraneità a tutto, è comunque probabile che il rituale poco c’entri con il semplice autocompiacimento. Cobain comincia già a dare segni d’insofferenza. L’ulcera che lo perseguita fin dall’adolescenza si è risvegliata e gli procura dolori terribili, che sostiene di poter lenire in certi momenti solo con l’eroina: vero o falso che sia, il ricorso agli stupefacenti sarà uno dei principali motivi di scandalo e contrasto con il sistema dei mass media.
Quello che a Roma abbandona il palco durante il concerto, si arrampica su una torre di casse acustiche e vaga come un fantasma per la sala, è un uomo vicino al limite di rottura: stanchezza fisica e stress psicologici stanno producendo effetti devastanti in un carattere tutto sommato fragile. Vivere facendo il musicista rock con quell’intensità e quel trasporto provoca su di lui una pressione che si rivela insostenibile, e che è destinata e crescere mostruosamente.

Continua...

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